Ricordo che alle mie domande ingenue e leggermente ansiose sui programmi, sui voti da dare, su tutta la parte burocratica del mestiere di insegnante rispondeva con non più di qualche suggerimento volante, e sempre con un pizzico di ironia; comunque facessi, facevo bene. Il che mi aiutava molto. Con lei il discorso si spostava subito sulle ‘cose’ - luoghi visti, e da vedere; libri letti, o da leggere; mostre, artisti, oggetti, città, paesaggi.
Ci siamo così incontrate, ed è nata la simpatia e poi la bella amicizia continuata negli anni che rimpiango. Io la vedevo, fin da quel primo anno, chiacchierare con colleghi e studenti nei corridoi con uno stile tutto suo, molto schietto; certi giudizi (non soltanto estetici) erano magari un po’ tranchants, dettati comunque sempre da un interesse sincero nelle cose, da predilezioni e passioni che venivano motivate con grande intelligenza.
Una cosa che mi ha colpito fin da quel primo anno, e mi è entrata dentro, è che anche quello che fanno i ragazzi nei laboratori è degno del massimo interesse.
La cosa forse più bella dell’insegnamento della storia dell’arte in una scuola artistica è infatti vedere come i talenti creativi individuali crescano con l’ampliarsi della cultura visiva e della consapevolezza della dimensione non univoca, ma complessa dei fenomeni artistici, in senso storico, sociale, politico, perfino filosofico.
Anna Bocco era capace, con understatement, eleganza e naturalezza nel conversare, di farmi capire tutto questo.
Scritto dalla Prof.ssa Silvia Tomasi
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