IL TESTAMENTO DI EUTERPE, scritto dalla prof.ssa Giorgia Alderuccio | OPERE


Penso che la poesia, il teatro e l'arte in generale mi attraggano in quanto “luoghi” in cui si percepisce il sacro. Qui sacro non ha a che vedere col divino. Ha a che vedere con una dimensione altra.
Mi sono affannata tanto per cercare di capire come funzionano, ma la loro sacralità consiste proprio in quel loro misterioso sovrappiù di significato, inafferrabile. Non solo nelle singole opere d'arte e nelle singole poesie, ma anche nella loro essenza, nella loro ontologia. Inafferrabile è quindi tanto una poesia in particolare -per i suoi slanci semantici multipli e pluridirezionali- quanto il suo essere, la sua definizione.

Tanto il potere evocativo di parole e immagini, quanto l'umano sforzo di capire cosa sia la poesia, e più in generale cosa sia l'arte. Vi sono diverse definizioni interessanti e illuminanti, tante cose da dire, ma mai una onnicomprensiva, mai una nemmeno totalmente vera per me.

Sfugge qualcosa. E mi piace da morire questo inseguire senza riuscire ad afferrare a pieno.

Normalmente questa dinamica si rivela pressoché impossibile nella vita, dato che nella corsa verso un obiettivo è probabile che l'obiettivo si raggiunga, e scompaia pertanto la tensione verso di esso.

Oppure che non lo si raggiunga e appaia la frustrazione.
Qui la tensione non appassisce, e l'obiettivo è senza nome, non del tutto raggiungibile, ma lascia pezzi nelle sua prossimità, lascia odori di cui godere a lungo, parvenze, indizi, suggerimenti, possibilità, scoppiettii di luce su uno sfondo che rimane nero.

Spazi limite, bolle, soglie, in cui abbandonare il gesto definito e prendere a calci il significato univoco delle cose, in cui poter essere altro, non essere niente, o potenzialmente tutto. 

Qualche anno fa provai a scrivere una poesia mettendomi nei panni della poesia stessa: ne “Il testamento di Euterpe” è la poesia in persona a spiegarsi e a ricordare all'essere umano quanto, benché egli sia il creatore e lei la creatura, il loro sia in realtà un rapporto di dipendenza reciproca.
Gli ricorda quanto lei gli sia essenziale per sopravvivere.




Il testamento di Euterpe

Non gettarmi una sola occhiata fugace
ma non scrutarmi più del dovuto.

La mia stessa esistenza
è effetto di nodi primordiali
che nessun uomo del futuro
avrà mai l’arroganza di districare.

C’è stato un tempo in cui
qualcuno
senza prepotenza
credeva realmente di ungere
ciò che con l’unto
poteva essere risolto.
Era risoluto costui,
Ma non risolse,
né risorse alcun Cristo
a profetizzare
ulteriori soluzioni.

Ormai avete imparato
che profeti non siete
e non lo è mai stato nessuno.
Non avete imparato però
a volgere il sopracciglio altrove.
Il logorio vi attrae
come un ottuso dolore intercostale.

Per questo
non riuscirete mai
ad abbandonarmi.

E se non lo farete
sarà anche per la vostra idolatria,
per le sacre immagini di voi stessi
che pregate allo specchio:
non esiste uomo
che non voglia la propria sagoma
rimbalzata sulle proprie orbite,
che non ammicchi
per vedersi ammiccato dal suo ego,
che non si metta di profilo
sbirciandone le disarmonie
con occhio storto.

Dicono che io sia più di questo.
Ed effettivamente
non ho mai visto
sul volto di un uomo allo specchio
i colori che vedo
sul volto di chi si mette nelle mie mani.

Continuerò a vivere
perché in me trovate una viola
che nessuno vi ha insegnato a suonare,
una viola
che senza chiedervelo
suona il vostro corpo
e riversa sulla vostra iride
profumi speziati
che annebbiano il paesaggio.
E storditi,
tremate in questa nebbia
mentre dall’ombelico
vi escono rami d’avorio
che vi paralizzano
come radici di querce
che pensavate di aver reciso.

Ad uno specchio
non potreste chiedere tanto.

E io,
infatti,
continuerò a vivere.

E lo farò anche per coloro
che invano
hanno cercato
conglomerati di lettere
per riempire idee d’acqua,
che invano
hanno scavato
alla ricerca di note
per un pentagramma a metà.

Lo farò per coloro
a cui manca il vino
e per coloro che non hanno sete,
gliela procurerò,
così che arsi
possano provare l’ebbrezza del sollievo.

Continuerò a vivere
perché non sono medicina,
perché non ho risposte.

Sono solo una mano
che trovi nel buio.
Sono solo la lacrima
che non voleva essere rivolo
tra le tue gote.

Sono compagna dell’ossigeno,
spazio viscerale su due dimensioni.
Sono olio essenziale
da dosare oculatamente:

dentro una goccia
può trovarsi l’inferno intero
con gli incubi più maledetti
delle vostre calde lingue.
Dentro una goccia
puoi trovarti tu
avvolto dalla placenta
lontano dal mondo
e dentro una madre.

Continuerò a vivere
per farvi partorire
ciò di cui non sapevate di essere pregni.
E se non lo foste davvero
vi ingraviderò,
soffierò sul vostro volto
un alito di semi
che fioriranno
all’altezza dei seni
e partorirete
dai capezzoli,
partorirete piante tropicali.

Non abbandonatemi:
senza di voi le mie parole
sarebbero solo parole.

Non abbandonatemi
perché voi,
senza di me,
sareste

solo
esseri
umani.


Scritto dalla prof.ssa Giorgia Alderuccio

La poesia fa parte dalla raccolta D'apnea fremo, pubblicata dalla Giovane Holden Edizioni.
In copertina acquerello dipinto dalla prof.ssa Giorgia Alderuccio. 

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