Cactus 2.0 intervista al prof. Fabio Leonardi | INFORMART


Cactus 2.0 intervista al prof. Fabio Leonardi

d- Pittore, illustratore, scenografo, scultore, grafico, fumettista e insegnante. Chi è, allo specchio, Leonardi Fabio, nato in quel di Livorno il venti aprile 1978. Cosa ricordi del Fabio studente pendolare, armato di pennarelli e passione?
r- Molti sono i ricordi di quel periodo, e ripensandoci, mi portano a visualizzare un Fabio con meno barba, ma con uno zaino carico di tante passioni, come già avete detto voi, armato. Armato come un giovane Don Chisciotte, carico di quel desiderio, onnivoro di conoscenza nei confronti dell’Arte in tutte le sue sfaccettature.



d- Racconta, alle lettrici e ai lettori di cactus 2.0 qualche aneddoto sul vecchio Cactus, del secolo scorso… Come è cambiato il Franco Russoli e come lo vedi dall’altra parte della barricata?
r- Tanto per cominciare non era Liceo, ma Istituto Statale d’Arte. Ciò ha decretato un sostanziale cambiamento. Ricordo una scuola estremamente attiva e presente nelle iniziative artistiche del territorio. Un luogo privo di compartimenti stagni, soprattutto tra gli studenti dei vari indirizzi, una sorta di fucina aperta ed estremamente sensibile nei confronti di ogni forma d’arte. 
Inoltre, ho avuto la fortuna sfacciata di avere insegnanti straordinari, che hanno contribuito in maniera sostanziale alla mia formazione, aiutandomi nelle tecniche, ma soprattutto educandomi visivamente. Ricordo il prof. Franco Ferri, uomo di straordinaria sensibilità, un Artista con la A maiuscola, uomo taciturno che ponderava sempre le sue parole con pause e sguardi che guardavano oltre.



d- Generazioni a confronto: cosa resta degli anni Novanta e cosa scaricheremo degli anni Duemila?
r- Cosa resterà degli anni Ottanta? Citando una nota canzone, in questo caso anni Novanta, debbo dire che erano anni senza il cellulare, anni di cabine telefoniche, di gettoni, di foto analogiche, di camere oscure, di fotocopie sbiadite, di gelatina nei capelli. Anni con quel meno che forse aiutava la creatività attraverso l’ingegno. In poche parole: dove manca, c’è da fare!!!
Adesso è tutto più fruibile, di facile accesso. Le immagini, per quanto riguarda il mio settore, viaggiano in tempo reale, irradiando il mondo in pochi secondi, guardiamo più il cellulare che il passaggio delle nuvole sopra la nostra testa. Il soffermarsi, il seguire il proprio tempo, è sempre più difficile.Vorrei con tutto il cuore che la nuova generazione si riappropriasse del proprio tempo, riprendendo un ritmo più congeniale all’età che ha. Questa sarebbe una vera vittoria. Solo soffermandosi e confrontandosi fisicamente, faccia a faccia e sporcandosi le mani con il lavoro, possiamo creare e contribuire ad una società vera.



d-La Toscana, terra d’arte e d’artisti. C’è cooperazione artistica o la frammentazione rende unico il mosaico territoriale?
r- Io provengo da una città estremamente variegata della Toscana, un luogo che nasce proprio grazie alla mescolanza di razze e religioni. Una città che ha trovato forza proprio da questo “cacciucco umano”. Quindi provengo da un luogo non luogo, estremamente diverso dalle altre città Toscane, che sono cinte da mura e fortificate. Nel caso di Livorno posso affermare che c’è un forte scambio tra artisti e cooperazione che, purtroppo, trovo meno in altri luoghi toscani. Credo che sia fondamentale nella crescita di qualsiasi posto uno scambio culturale. Questo porta ad un’apertura mentale e ad una leggerezza costruttiva nell’affrontare la vita. Parlo di vita leggera e di sguardi che scrutano il mare proprio per sottolineare l’importanza di non avere mura né dentro né fuori la propria anima.




d- Quali sono le ultime creazioni che portano la tua firma?
r- Al di là di una costante produzione pittorica per una nota galleria, ho realizzato, durante l’anno varie illustrazioni per libri. Uno su tutti il libro A Marianeve. Il Natale di Dick, per Pacini Editore e firmato uno spettacolo sul tema della dislessia con le mie scenografie. Sempre nel 2019 è tornato in scena lo spettacolo Il gatto con gli stivali anch’esso realizzato visivamente da me, sia per la scenografia, sia per i costumi.




d- Oltre al classico “cosa bolle in pentola”, cosa frigge in testa per il futuro e cosa sogni nel cassetto?
r- MILLE COSE, forse più. Sogno nel cassetto di aprire sempre un cassetto con dentro una scatola piena di sogni. Sono profondamente convinto che l’uomo privo di sogni non ha davanti a sé alcuna via. I sogni sono un alimento costante, non importa se non riusciremo a realizzarli tutti, importa averne, sempre. Un artista deve viaggiare con una valigia di sogni per tutto il percorso della sua vita. Spesso commettiamo l’errore di credere che il successo, specialmente quello economico e la notorietà, siano la realizzazione di un sogno, il punto d’arrivo, per intendersi. Io non la penso così. 
Il vero successo è l’avere la possibilità, nonostante tutto, di sognare e di poter realizzare, lavorando, tutto ciò che ci piove in testa.
Perché realizzare un’opera quando è così bello sognarla soltanto?!? - citando Pier Paolo Pasolini nel “Decameon”. Ecco sì, è da qui che un giovane artista deve partire: dal sognare ardentemente di sognare!



d- Venticinque anni di Sodalizio Mvschiato hanno dato il degno riconoscimento alla satira clandestina livornese. L’arte fa rima con goliardia?
r- L’arte fa rima con tutto. E’ necessario, nel mio lavoro, l’aspetto ironico. Provengo, come detto prima, da una città che non ama molto prendersi sul serio. Il senso di smitizzazione è radicato nel mio codice genetico. Trovo necessario l’approccio ludico conoscitivo, il gioco “serio” di Bruno Munari, la vignetta dissacrante, le macchiette di Petrolini. Ridere è fondamentale. Non prendersi mai troppo sul serio. Una sana leggerezza aiuta nel volo.

Fabio Leonardi per Cactus 2.0


d- Negli ultimi giorni cresce il fermento per “lavorare” all’evento in memoria di Keith Haring, in occasione del trentennale di Tuttomondo, un pilastro della StreetArt internazionale. Cosa ricordi di quei giorni e come vedi la possibilità di mettere in piedi un appuntamento di spessore, soprattutto per le studentesse e gli studenti del Russoli di Pisa e Cascina, che potrebbero rivivere quelle emozionanti giornate del 1989…
r- Ho un ricordo lontano in quanto non ero ancora uno studente dell’Isa Franco Russoli. Ricordo, però, molto bene lo stupore nel vedere fare un lavoro così vicino ai giovani, con il linguaggio dei giovani, su un edificio serio. Fino ad allora, l’arte che si poteva vedere nei luoghi pubblici era prevalentemente di matrice classica oppure concettuale, ma già riconosciuta come arte di serie A dai vari musei e fondazioni. L’opera di Haring stravolse tutto. Era semplice ed immediata. 
Affermava un grido giovane CI SONO ANCH’IO! Beh lo stupore fu tanto, perché accendeva la miccia nei giovani artisti. Allora possiamo farlo?!? Keith dette il via alla libertà espressiva di ognuno di noi. Trovo straordinario poter contribuire con un evento al ricordo di quella nascita, magari dipingendo con i ragazzi del Liceo Artistico di Pisa & Cascina proprio dinnanzi a TUTTOMONDO.

d-Infine, carta bianca e mille colori per chiudere questa prima intervista del Cactus…(puoi rispondere anche con un fumetto)

 La Redazione del Cactus 2.0 ringrazia per la disponibilità il prof. Fabio Leonardi.


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